Promuovere un ambiente inclusivo: come affrontare l’ageismo in azienda
In un’epoca caratterizzata da rapidi cambiamenti demografici e da un crescente riconoscimento dei parametri DEI (Diversity, Equity, Inclusion) come pilastri cruciali del successo organizzativo, l’età è ancora un pregiudizio pervasivo, ma poco esplorato. Non solo: è anche un pregiudizio complesso perché non è confinato a una specifica fascia demografica. I pregiudizi sull’età possono riguardare i più anziani, considerati resistenti al cambiamento, ma anche i più giovani, spesso visti come “professionalmente immaturi “o poco inclini ad adattarsi ad organizzazioni molto strutturate. È il cosiddetto “ageismo”.
Forma di discriminazione basata sull’età, l’ageismo racchiude stereotipi, pregiudizi e comportamenti discriminatori verso una persona o un gruppo di persone a causa della loro età. Tipicamente, nel mondo del lavoro, si traduce nell’esclusione dei profili più anziani da opportunità di carriera, promozioni o assunzioni, presumendo che non siano abbastanza “innovative” o “veloci”.
Ageismo: un problema diffuso
Il 62% dei lavoratori over 50 ritiene che i dipendenti più anziani siano vittime di discriminazioni basate sull’età e ben il 93% afferma che l’ageismo è un fenomeno regolare. Al centro dei pregiudizi, però, ci sono anche i più giovani. I lavoratori tra i 18 e i 34 anni hanno il 13% in più di probabilità di subire discriminazioni basate sull’età rispetto agli over 55, quando si tratta di ruoli dirigenziali.
Nonostante la crescente consapevolezza del Diversity Management e dei principi di diversità, equità e inclusione (DEI), l’età continua a essere un “problema” comune. Perché? Perché l’ageismo non sempre è evidente. Il più delle volte è sottinteso nella cultura aziendale, nascosto nelle sue pratiche o radicato nelle sue politiche, il che lo rende difficile da riconoscere e da combattere, specialmente in un ambiente di lavoro variegato come quello attuale.
Baby Boomer, Gen X, Millennials e Gen Z portano con sé i propri punti di forza e i propri punti di vista unici, differenze che possono essere fonte di diversità e innovazione, ma anche un terreno fertile per stereotipi e pregiudizi. Ogni generazione si trova infatti ad affrontare il proprio set di stereotipi legati all’età, e questi pregiudizi possono influenzare ogni aspetto della vita professionale, dalle interazioni quotidiane alla progressione di carriera. Riconoscere e comprendere queste sfide è dunque fondamentale per abbattere le barriere e per creare un ambiente di lavoro inclusivo che valorizzi i punti di forza e le prospettive multigenerazionali.
Perché superare l’ageismo in azienda
L’ageismo può avere effetti significativi sia sui datori di lavoro che sui dipendenti, in quanto crea un ambiente negativo e ostile per i lavoratori discriminati, che possono subire esclusioni e trattamenti ingiusti basati esclusivamente sulla loro età. Ciò può portare a insoddisfazione, minore autostima e a livelli di stress più elevati. Inoltre, l’età può limitare le opportunità di carriera per i lavoratori più anziani, facendoli sentire sottovalutati ed emarginati.
Ma, l’ageismo, ha effetti negativi sulle prestazioni organizzative nel loro complesso. Perpetuando stereotipi e pregiudizi nei confronti dei profili più anziani, le aziende perdono le preziose competenze, conoscenze ed esperienze che essi portano sul tavolo, limitando la diversità di pensiero e ostacolando l’innovazione e la creatività.
Senza contare che, le organizzazioni che commettono discriminazioni basate sull’età, possono subire ripercussioni legali, danni reputazionali e difficoltà nell’attrarre personalità di talento e trattenerle all’interno dell’azienda.
Un’azienda che adotta strategie di Age Management e valorizza, dunque, le persone per tutto il corso della loro vita lavorativa, ha accesso a un pool di talenti più ampio, con professionisti d’ogni età, ma migliora anche competitività ed Employee Retention, crea una cultura aziendale più inclusiva e riesce a sfruttare a pieno tutte le potenzialità di una forza lavoro multigenerazionale. Ciò è vero ad ogni livello, ma ancor di più tra i manager.
Secondo il recente MIT Sloan Management Review, lo stile di management cambia con l’età. I manager giovani preferiscono tecniche di gestione concrete, i manager anziani adottano tecniche più intuitive e olistiche. Inoltre, mentre i primi dedicano molto tempo a migliorarsi (cercando mentori, chiedendo feedback e chiedendo riconoscimenti da parte della leadership), i secondi sono più concentrati sulla creazione di rapporti e coalizioni per chiudere i task e per anticipare le esigenze delle persone durante i processi di cambiamento.
I manager più anziani si dicono propensi ad ascoltare “attentamente e intensamente gli altri” e ritengono che “delegare decisioni e attività ad altri” sia un’abilità gestionale chiave, i manager più giovani sono concentrati invece sulla messa in atto di comportamenti ispiratori e virtuosi. Questa Age Diversity nel management permette alle aziende di contare su skill diverse, di costruire un ambiente inclusivo e di abbattere il turnover.
Strategie per combattere l’ageismo
Prevenire l’ageismo sul posto di lavoro richiede un approccio proattivo che promuova l’inclusività e valorizzi i dipendenti di ogni età.
Incentivare il tutoraggio misto e il Reverse-Mentoring
Il tutoraggio misto è una metodologia formativa che combina il supporto di tutor esperti (manager, professionisti senior o formatori) con il coinvolgimento di colleghi o pari all’interno dell’organizzazione. Progettato per accelerare l’apprendimento, migliorare le competenze e facilitare l’integrazione dei dipendenti, sfruttando una rete di supporto diversificata, mette in atto tutti i vantaggi connessi all’Age Diversity.
Un’altra forma efficace di mentorship e tutoraggio è il Reverse-Mentoring. L’azienda può incoraggiare i manager giovani a fare da guida ai manager anziani, attraverso un processo strutturato che migliori la comunicazione e le relazioni all’interno dell’organizzazione.
Includere l’ageismo nella strategia DEI
Una strategia DEI efficace è onnicomprensiva. Ciò significa tenere conto di tutte le forme di discriminazione, compresa quella basata sull’età, quando si pianifica un percorso verso l’equità e si stabiliscono iniziative di inclusione.
Effettuare check-up della salute mentale
L’età ha effetti persistenti sulla salute e il benessere degli individui: approntare un questionario che analizzi la loro salute mentale aiuta l’azienda a ottenere suggerimenti per una cultura del lavoro più inclusiva, ma è anche un’ottima strategia di fidelizzazione.
Adottare un processo d’assunzione inclusivo
Quando si scrive il testo di un annuncio, per qualsiasi posizione, è importante rassicurare i potenziali candidati, confermando che non verranno discriminati in base alla loro età, razza, orientamento sessuale o identità di genere. Inoltre, è possibile scrivere annunci per profili senior aperti a manager che hanno superato l’età pensionabile o che vorrebbero rientrare nel mondo del lavoro.
Per l’80% dei clienti, l’esperienza offerta da un’azienda è importante tanto quanto i suoi prodotti e servizi . I clienti fedeli, infatti, hanno cinque volte più probabilità di riacquistare un prodotto o un servizio e di perdonare un errore, sette volte più probabilità di provare un nuovo prodotto o servizio e quattro volte più probabilità di consigliare l’azienda ad amici e colleghi: un Costumer Satisfaction elevato è dunque indice di un’azienda sana, quantomeno nel rapporto con la clientela.
Costruire team multi-generazionali
Le aziende dovrebbero puntare a costruire una cultura di diversità e inclusione orientata alla crescita. E, impegnare professionisti multigenerazionali, è il modo migliore per inserire l’apprendimento intergenerazionale nella cultura aziendale. Le organizzazioni in cui l’ageismo non esiste sono attraenti, competitive ed efficienti, a patto che il management resti fedele all’idea di valorizzare i dipendenti di ogni età, senza discriminazioni.