Fringe benefit: quali sono e come integrarli nella strategia HR
Nel contesto sempre più competitivo della gestione delle risorse umane, il tema del welfare aziendale per i manager assume un ruolo centrale nelle politiche retributive evolute. Le aziende che desiderano attrarre, motivare e trattenere figure chiave devono adottare soluzioni che vadano oltre la sola retribuzione monetaria.
Il welfare aziendale ha registrato in Italia una significativa evoluzione negli ultimi anni, sostenuta da interventi legislativi mirati – a partire dalle importanti modifiche introdotte nel 2016 – e stimolata dal contesto italiano che ha visto crescere i salari solo dell’1% dal 1991 al 2023[1]. Il 55% dei lavoratori, infatti, considera il welfare aziendale un valido strumento di sostegno al potere d’acquisto[2].
La diffusione di iniziative in ambito welfare aziendale in Italia avviene sia su azione unilaterale dell’impresa – sono tra le 20.000 e le 30.000 le aziende che si sono mosse in tal senso coinvolgendo circa 3 milioni di lavoratori – sia attraverso la contrattazione collettiva – quella di primo livello è prevista da 18 CCNL (dato a gennaio 2024).[3]
In questo perimetro di politiche organizzative rientrano anche i fringe benefit, ossia beni e servizi offerti ai dipendenti con lo scopo di integrare la retribuzione ordinaria. Questi strumenti, come vedremo, non vanno intesi come semplici vantaggi accessori di natura economica, ma rappresentano componenti strategiche nella definizione di un piano di welfare efficace, sostenibile e orientato al benessere organizzativo. Secondo l’Osservatorio Welfare 2024 di Edenred, proprio queste formule hanno prevalso nella composizione della spesa welfare in Italia: il 32% del totale che sale al 40% se si guarda alla fascia d’età under 30 anni.[2]
INDICE DEI CONTENUTI
Cosa sono i fringe benefit
Il termine “fringe benefits” tradotto letteralmente significa “retribuzione marginale” o “vantaggi indiretti”. In Italia, sono previsti dal Codice Civile all’art. 2099 e possono essere definiti come “compensi in natura”, perché appunto non vengono erogati sotto forma di denaro, ma concessi attraverso beni e servizi dal datore di lavoro ai dipendenti[4]. Si tratta poi di un meccanismo retributivo a fini incentivanti, ovvero uno strumento essenziale di valorizzazione della prestazione dei lavoratori e dei collaboratori con l’obiettivo anche di fidelizzazione. La particolarità dei fringe benefit consiste nel fatto che, pur rientrando tra le componenti del rapporto di lavoro che normalmente contribuiscono alla formazione del reddito imponibile ai fini fiscali (IRPEF) e previdenziali (contributi INPS), godono di un regime agevolato: entro specifici limiti stabiliti dall’art. 51 del TUIR, non concorrono alla determinazione del reddito imponibile.[5]
Tipologie ed esempi comuni di fringe benefit
Il mondo dei fringe benefit è piuttosto vario, una prima categorizzazione li distingue in:
- Benefit erogati direttamente in beni e servizi, ovvero tutti quei beni tangibili o servizi concreti messi a disposizione dal datore di lavoro.
- Benefit erogati tramite documenti di legittimazione (voucher, buoni, carte prepagate), che permettono al dipendente di acquistare specifici beni e/o servizi presso esercenti convenzionati o secondo le regole previste.
Oltre il 54% del budget destinato al welfare aziendale viene immediatamente convertito in voucher fringe benefit, come rileva l’Osservatorio AmedeA 2024[6]. Questi, più flessibili rispetto ai tradizionali rimborsi o fondi sanitari, offrono liquidità immediata e possono essere utilizzati su piattaforme online, per buoni pasto o presso catene della GDO.
Come abbiamo anticipato, il management aziendale può decidere quale categoria di fringe benefit introdurre nel proprio pacchetto welfare. Secondo l’Osservatorio Welfare Aziendale, il 42% delle aziende ha introdotto un piano di welfare strutturato, percentuale che sale al 53% tra quelle con oltre 1.000 dipendenti[2]. Secondo il Welfare Index PMI 2024, il 75% delle piccole-medie imprese (3 su 4) ha un livello almeno medio di welfare aziendale, sono invece triplicate dal 2016 a oggi le organizzazioni che hanno raggiunto un livello alto o molto alto, dal 10,3% al 33,3%, registrando un’accelerazione negli ultimi due anni (+ 8%)[7].
I fringe benefits più comuni e diffusi sono:
- Abbonamenti a mezzi di trasporto: rimborso o fornitura di abbonamenti per il trasporto pubblico urbano ed extraurbano.
- Alloggi aziendali: abitazioni concesse in uso o in locazione.
- Auto aziendale: concessa per uso promiscuo, utilizzabile sia per scopi lavorativi sia per esigenze personali, il cui valore imponibile è calcolato secondo le tabelle ACI.
- Buoni acquisto: voucher spendibili presso determinati negozi, supermercati o piattaforme online.
- Buoni pasto: esenti da tassazione fino a 8 euro giornalieri i buoni elettronici e 4 euro quelli Il 41%dei dipendenti in Italia riceve i buoni pasto per un valore medio di poco inferiore ai 7 euro[2].
- Dispositivi elettronici aziendali: telefoni cellulare o laptop aziendali.
- Polizze assicurative: coperture sanitarie o sulla vita offerte ai dipendenti.
- Servizi di education o recreation: abbonamenti a palestre, corsi di formazione, biglietti per cinema o teatro.
- Servizi per l’infanzia: come il pagamento di rette per asili nido o campus estivi per i figli dei dipendenti.
Si registra un aumento significativo nelle richieste di rimborsi per bollette, legato ai rincari energetici degli ultimi anni, e per gli affitti, passati dal 9,85% del 2023 al 24,71% nel 2024, mentre le spese per l’istruzione sono diminuite dal 73,31% al 57,05%[6]. Questi dati evidenziano una crescente attenzione da parte dei lavoratori verso benefit che offrono un supporto immediato alle spese quotidiane.
Proprio a tal proposito, con l’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2025, il panorama dei fringe benefit è stato ampliato sia attraverso l’introduzione di nuove tipologie di benefit sia mediante l’aggiornamento delle soglie di esenzione fiscale. I fringe benefit 2025 vedono anche:
- Rimborsi per utenze domestiche: le somme erogate o rimborsate dal datore di lavoro per il pagamento delle bollette non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente, entro i limiti previsti.
- Rimborsi per affitto e mutuo: le spese relative alla locazione dell’abitazione principale o agli interessi sul mutuo sono incluse tra i fringe benefit esenti da tassazione, sempre entro i limiti stabiliti.
- Bonus per neoassunti: per i lavoratori assunti nel 2025 con contratto a tempo indeterminato, che trasferiscono la residenza per motivi di lavoro, è previsto un rimborso fino a 5.000 euro annui per due anni, relativo alle spese di locazione e manutenzione dell’abitazione.
- Incentivi per la mobilità sostenibile: le auto aziendali elettriche o ibride plug-in beneficiano di una tassazione agevolata, rispettivamente al 10% e al 20% del valore convenzionale, poiché promuovono scelte ecologiche.
Normativa e aspetti fiscali e contributivi dei fringe benefit
Il riferimento normativo principale si trova nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), in particolare agli articoli 51 e 100, integrato dalle disposizioni contenute nelle Leggi di Stabilità e di Bilancio 2016, 2017 e 2018 (e successive). Completano il quadro, fornendo indicazioni operative fondamentali per l’applicazione corretta delle norme, numerosi interventi interpretativi da parte dell’Agenzia delle Entrate – tra cui la Circolare 28/E del 2016 e la Risoluzione 55/E del 25 settembre 2020.
Gli aggiornamenti normativi sono costanti, ne è un esempio proprio l’ultima Legge di Bilancio (2025)[8] che ha prorogato per il triennio 2025–2027 il regime agevolato già in vigore. Nello specifico, per i prossimi tre anni si applicheranno le seguenti soglie di esenzione fiscale e contributiva per i beni e servizi ceduti ai lavoratori (e per i rimborsi delle utenze)[9]:
- Soglia generale elevata: per la maggior parte dei dipendenti (quelli senza figli fiscalmente a carico), il limite di esenzione per il valore dei fringe benefit è fissato a 1.000 euro annui.
- Soglia ulteriormente maggiorata per i dipendenti con figli a carico: per beneficiare di questa soglia più alta (2.000 euro), il dipendente deve ricordarsi di dichiarare al datore di lavoro di averne diritto, indicando il codice fiscale dei figli a carico.
Questo significa che le aziende possono continuare a utilizzare i fringe benefit tradizionali in modo fiscalmente vantaggioso fino ai nuovi limiti imposti dalla Legge di Bilancio. Superata la soglia specifica per il dipendente, l’intero importo diventa tassabile.
L’Osservatorio Welfare 2025 evidenzia inoltre un effetto significativo sull’impiego dei crediti welfare: se nel 2023 i fringe benefit rappresentavano circa il 42% della spesa totale, nel 2024 la loro incidenza è salita a quasi il 60%[10]. Questo dato sembra confermare l’ipotesi secondo cui l’innalzamento del limite di esenzione fiscale abbia incentivato un maggiore utilizzo dei fringe benefit, riducendo di conseguenza la quota destinata ai flexible benefit.
Chi può beneficiare dei fringe benefit
I lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato, a condizione che tali benefici siano previsti dal contratto collettivo, aziendale o individuale, o concessi su decisione unilaterale del datore di lavoro, in base alle soglie di esenzione sopra presentate[9].
Nello specifico, l’accesso ai fringe benefit è destinato a:
- lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e determinato;
- collaboratori con contratti assimilati a lavoro dipendente;
- manager e dirigenti aziendali, se rientrano nei piani di welfare aziendale.
Gli stessi lavoratori oggi in Italia sono più consapevoli e informati. La percentuale di pratiche presentate con documentazione errata o incompleta è diminuita allo 0,85% nel 2024 contro il 4,16% del 2023, dimostrando una maggiore conoscenza e familiarità delle procedure di welfare[6]. Inoltre, l’Osservatorio Welfare Edenred ha evidenziato che nel 2023 l’80% del credito welfare disponibile è stato utilizzato dai beneficiari, con una media pro capite di 910 euro[2].
Vantaggi dei fringe benefit
L’importanza che il welfare d’impresa sta assumendo per i dipendenti e per le politiche aziendali sta crescendo: parliamo di un mercato europeo che sta registrando una notevole espansione e che toccherà quota 43 miliardi di euro entro il 2032 (più 6,5% l’anno)[11]. Un trend che testimonia la maggiore sensibilità da parte del mondo delle aziende verso il benessere dei dipendenti.
Oggi, la retribuzione assume una prospettiva più allargata in un’ottica di Total Reward, come spiega ODM Consulting[12]. Le aziende, fatte 100 le progettualità sulle quali stanno lavorando, le distribuiscono equamente rispetto alle 4 leve in cui si configura il modello teorizzato dalla società di consulenza HR: 25% compensation, 27% benefit-welfare, 27% sviluppo, 22% ambiente. Le persone, fatto 100 il peso che darebbero al loro pacchetto, assegnano un 44% di importanza al compensation, ma è ormai sempre più evidente il grande valore che viene assegnato alle restanti leve, infatti, sommandone l’importanza attribuita si raggiunge un peso del 56%.
E infatti i fringe benefit rappresentano una componente aggiuntiva alla retribuzione che può migliorare significativamente la qualità della vita dei lavoratori contribuendo direttamente al benessere del dipendente, consentendo risparmi su spese quotidiane e aumentando il potere d’acquisto senza incidere sul reddito imponibile. Questo si traduce in una maggiore soddisfazione e motivazione, che contribuisce al benessere complessivo del lavoratore e anche alla fidelizzazione con l’azienda.
Secondo la ricerca condotta realizzata da The European House – Ambrosetti, in collaborazione con Jointly, i benefici che un collaboratore ottiene da un piano di corporate wellbeing – focalizzato sul benessere organizzativo e personale attraverso servizi come asili nido aziendali, campus estivi per i figli, sportelli psicologici, iniziative di prevenzione e attività ricreative – superano di oltre quattro volte l’investimento sostenuto dall’azienda. A fronte di una spesa media di circa 2.500 euro per dipendente, il valore percepito per il lavoratore può superare gli 11.000 euro, con un moltiplicatore pari a 4,5. Se tali soluzioni venissero estese a tutti i lavoratori in Italia, la spesa complessiva delle imprese potrebbe salire fino a 45,3 miliardi di euro (più del doppio rispetto a oggi), generando un valore economico complessivo fino a 204 miliardi di euro[13].
Anche dal punto di vista delle aziende, il welfare aziendale e i fringe benefits rappresentano un investimento contribuendo alla produttività e al successo economico: nel 2023, la percentuale di imprese che hanno registrato un aumento di fatturato è cresciuta in modo quasi lineare all’aumentare del livello di welfare aziendale, passando dal 28,8% tra quelle con un livello iniziale al 46,5% tra quelle con un livello molto alto[7].
È significativo, poi, osservare che la presenza di strumenti di incentivazione, come i fringe benefit, se accompagnati da un alto livello di engagement, come riporta una ricerca pubblicata sul Journal of Human Resource Management, possono influenzare positivamente le prestazioni lavorative [14]. A migliorare è proprio il clima, con conseguenze positive: dipendenti più soddisfatti, meno stressati, che percepiscono un’attenzione da parte dell’azienda, tendono a essere più motivati, collaborativi e, alla fine, produttivi. Come suggerisce anche l’Empolese Benefits Trend Study di MetLife[15].
I fringe benefit, infatti, incidono positivamente sulla motivazione (74%) dei dipendenti, oltre a rappresentare un segnale concreto di apprezzamento e riconoscimento del lavoro svolto da parte dell’azienda (72%). Questo aspetto assume particolare rilevanza in un contesto in cui il 68% dei lavoratori dichiara di essere attratto dalla possibilità di cambiare azienda per accedere a un piano di benefit più vantaggioso – percentuale che sale al 74% tra chi si dichiara insoddisfatto della propria situazione lavorativa. Disporre di un sistema di welfare aziendale rafforza, quindi, l’attrattività dell’organizzazione e la sua capacità di talent retention, mentre la sua assenza può incentivare la ricerca da parte dei dipendenti di nuove opportunità professionali[16].
Risultati simili emergono dall’indagine internazionale “Great Employee Benefit Study 2024” che adotta un approccio comparativo tra Paesi: se per gli svedesi i benefit appaiono meno rilevanti – verosimilmente a causa di un’offerta più limitata – in Italia e nel Regno Unito il 75% degli intervistati li ritiene un elemento essenziale nella valutazione di una nuova proposta di lavoro [11].
A livello economico, secondo le stime di The European House – Ambrosetti, il costo di ogni singola dimissione è pari a circa il 50% della retribuzione annua lorda (RAL) del lavoratore o della lavoratrice che decide di andarsene. Considerando il valore della RAL media a livello nazionale, questo significa che il costo di ogni dimissione si aggira tra gli 11.000 e 13.000 euro[17].
Anche a livello di sistema-Paese vengono riportati benefici. L’aumento dei fringe benefit esentasse permette di incrementare il potere di acquisto dei consumatori tanto che uno studio condotto da The European House – Ambrosetti ha stimato che l’innalzamento dell’esenzione per i fringe benefit da 258,23 a 600 euro e successivamente da 600 a 3mila euro avvenuta nel 2022 ha generato un guadagno netto per lo Stato di quasi 50 milioni di euro[18].
Criticità e svantaggi
I fringe benefit si confermano sempre più come strumenti strategici per arricchire il pacchetto retributivo e migliorare il benessere organizzativo. Tuttavia, la loro implementazione richiede un approccio consapevole e ben strutturato, poiché non è priva di complessità. In primo luogo, la normativa fiscale che li disciplina è articolata e soggetta a frequenti modifiche: la corretta gestione delle soglie di esenzione, del valore imponibile e dei contributi rappresenta un onere significativo per l’ufficio HR e per i consulenti aziendali.
Oltre agli aspetti normativi, emergono criticità legate all’equità percepita all’interno dell’organizzazione. Se i benefit non sono distribuiti con coerenza rispetto ai ruoli e alle aspettative, possono generare senso di iniquità e influire negativamente sul clima aziendale. Al contempo, offrire soluzioni standardizzate, uguali per tutti, rischia di ridurre l’efficacia motivazionale dello strumento, vanificando l’investimento. Il tema della diseguaglianza riguarda anche la tipologia di lavoratori – attualmente sono favoriti i dipendenti del privato – e il settore di appartenenza – welfare aziendale e fringe benefit vengono proposti in aziende che hanno condizioni economiche già stabili (scopri qui alcuni best-case) e meno nei settori più in crisi.
Un altro tema molto discusso riguarda la perdita di contributi previdenziali. La conversione dei premi di risultato in welfare aziendale può comportare una perdita di contributi previdenziali per i lavoratori. Un’analisi di Zeta Service evidenzia che destinare 1.000 euro all’anno in welfare per 37 anni potrebbe ridurre la pensione annuale di circa 873 euro, un aspetto spesso trascurato dai dipendenti[19].
Fringe benefit: verso un welfare aziendale evoluto
In Italia, vi è un dibattito sulle finalità e sull’evoluzione del welfare aziendale che solleva anche l’Associazione Italiana Welfare Aziendale (AIWA). Nel tempo, il welfare aziendale e la sua declinazione nei fringe benefit si sono sempre più orientati nella direzione di integrazione della retribuzione, perdendo la vocazione originaria di sostegno sociale. La crescente enfasi su buoni pasto o carburante e su benefit legati al tempo libero, viaggi, sport e abbonamenti ha ridotto l’attenzione verso servizi fondamentali come sanità, previdenza e conciliazione vita-lavoro. Si è così creata una distinzione interna tra chi beneficia realmente di questi strumenti e chi, con carichi di cura più gravosi, ne resta escluso. In un momento in cui il sistema pubblico fatica a garantire coperture adeguate, il welfare aziendale, secondo alcune posizioni, dovrebbe riscoprire il suo ruolo complementare, orientandosi maggiormente verso i bisogni essenziali dei lavoratori[20].
A livello normativo, Aiwa propone invece due interventi: il primo mira a consentire la destinazione del credito welfare al Servizio Sanitario Nazionale, al Servizio Civile o a colleghi in situazioni di difficoltà. Il secondo introduce misure incentivanti aggiuntive a favore dei lavoratori che rientrano dal congedo di maternità o paternità, con l’obiettivo di favorire il reinserimento e la continuità professionale.
Sono tre gli sviluppi urgenti all’orizzonte:
- la necessità di sviluppare soluzioni che rispondano meglio alle esigenze di conciliazione tra vita lavorativa e personale
- l’orientamento verso la sostenibilità, in linea con i criteri ESG, per rendere il welfare aziendale strategicamente rilevante e trasparente
- l’importanza di comprendere le reali necessità dei dipendenti, per sviluppare soluzioni personalizzate anche attraverso l’uso di intelligenza artificiale[6].
A chiederlo sono anche i collaboratori: la stragrande maggioranza (80%) dichiara di aspettarsi dall’azienda misure di benessere più specifiche ed utili, come servizi di assistenza, salute, istruzione e prevenzione. Insomma, quello che viene chiamato Corporate Wellbeing [21]. A livello aziendale, infatti, una strategia a supporto del wellbeing dei collaboratori può più che quadruplicare il valore dei servizi a loro offerti e a livello Paese il valore potenziale è di oltre 200 miliardi di euro. Si passerebbe così dall’approccio attuale che rischia di trasformare tali benefit in una forma di bilanciamento salariale a un approccio che offre opportunità per accedere a servizi di natura sociale, assistenziale o di cura. Non più, insomma, una sorta di ulteriore spinta al “consumo” ma un’importante risorsa per la collettività e l’economia[22].
Fonti
[1] https://www.inapp.gov.it/pubblicazioni/rapporto/edizioni-pubblicate/rapporto-inapp-2023.
[2] https://www.edenred.it/welfare-aziendale/osservatorio-welfare-aziendale/.
[5] https://welfareaziendale.info/flexible-benefit-o-fringe-benefit-guida-ai-benefit-welfare/.
[8] https://tuttowelfare.info/le-principali-novita-per-il-welfare-aziendale-nel-2025/.
[10] https://double-you.it/osservatorio-welfare
[12] https://it.odmconsulting.com/pubblicazione-odm-30-anni/.
[15] https://www.metlife.com/workforce-insights/employee-benefit-trends/.
[17] https://www.jointly.pro/pubblicazioni/benessere-e-produttivita.
[18] https://www.mark-up.it/dal-welfare-aziendale-unaiuto-alleconomica-con-i-fringe-benefit/.
[20] https://www.aiwa.it/2023/02/le-sfide-per-il-welfare-aziendale-nel-2023-2/