Cosa sono i premi di risultato e come convertirli in welfare aziendale
Lo scorso aprile, EssilorLuxottica ha riconosciuto ai suoi dipendenti un premio record: fino a 4.100 euro lordi, che diventano 4.400 se il dipendente sceglie di convertire l’importo in welfare aziendale.
Ma, la multinazionale italo-francese, è solo una delle tante aziende che scelgono di fare Employee Retention e di incentivare i dipendenti col sistema dei premi di risultato. La più generosa in Italia è Ferrari che, per i risultati raggiunti nel 2023, ha erogato fino a 13.500 euro ai suoi dipendenti. E poi Eni, coi 3.000 euro lordi corrisposti lo scorso novembre, e Crédit Agricole che ha fissato per il 2024 un premio di risultato medio di 1.900 euro.
Ma cosa sono i premi di risultato, nello specifico, e come possono essere convertiti in welfare aziendale?
Cosa sono i premi di risultato
Il premio di risultato, anche detto premio di produzione o di competitività, è una retribuzione aggiuntiva che l’azienda può inserire nella busta paga del dipendente, a seguito del raggiungimento di un predeterminato obiettivo.
Le aziende che hanno adottato tale strumento, nel 2024 sono aumentate del 30,7%: 9.421 al 15 gennaio 2024, contro i 7.206 del 15 gennaio 2023 (con un valore medio del premio di 1.470,56 euro).
Pur essendo inserito in busta paga, il premio di risultato non viene considerato parte della retribuzione a fini fiscali. Beneficia invece di un regime speciale, con una trattenuta IRPEF che – in precedenza del 10% – è scesa al 5% nel 2023 e nel 2024. Il reddito del beneficiario non deve però superare gli 80.000 euro, e la soglia massima del premio per il singolo dipendente deve essere inferiore ai 3.000/4.000 euro a seconda della presenza o meno del coinvolgimento paritetico dei lavoratori. La somma che eccede il limite è soggetta a tassazione ordinaria.
Scegliendo di convertire la somma ricevuta in welfare aziendale, invece, si può beneficiare della detassazione completa.
Come convertire i premi di risultato in welfare
Il lavoratore che riceve il premio di risultato può scegliere di convertirlo in benefit: su di essi l’imposta sostitutiva non viene applicata, e non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente. Quando si parla di fringe o flexible benefits si parla infatti di un compenso non monetario, di beni e servizi volti a soddisfare bisogni primari: assistenza sanitaria, servizi d’educazione e istruzione, misure per familiari non autosufficienti, contributi per il trasporto o per l’affitto.
Tale scelta è sempre più privilegiata: il 60% dei lavori under 30 sceglie di convertire i premi di risultato in welfare aziendale, mentre tra gli over 60 la percentuale scende al 32%5. Il motivo? Secondo l’Osservatorio Welfare di Edenred, il 64% dei lavoratori considera il welfare aziendale una forma di sostegno al reddito familiare e un contributo prezioso alle spese quotidiane: due elementi che, evidentemente, gli under 30 ritengono fondamentali.
Tuttavia è bene ricordare che, mentre i flexible benefits sono sempre esenti da tassazione, i fringe benefits sono soggetti a limiti: nel 2024, la soglia esente da tassazione è di 1.000 euro, che salgono a 2.000 per i dipendenti con figli a carico.
Qual è la differenza tra fringe e flexible benefits? I fringe benefits sono benefici aggiuntivi offerti ai dipendenti oltre al salario base. Solitamente, sono definiti dall’azienda e uguali per tutti i dipendenti o per categorie specifiche di dipendenti, che non hanno la possibilità di scegliere o modificare i benefici assegnati. I flexible benefits sono invece più flessibili: permettono ai lavoratori di scegliere tra una varietà di beni e servizi, e di comporre un pacchetto personalizzato in base alle loro esigenze e preferenze.
Per convertire i premi di risultato in welfare aziendale, è dunque necessario che l’azienda abbia un sistema di erogazione di beni o servizi secondo quanto stabilito dal CCNL di riferimento oppure frutto di accordi individuali coi lavoratori. Non è infatti possibile riconoscere la conversione dei premi di risultato in welfare al singolo lavoratore: essa deve infatti essere concessa a una categoria omogenea di dipendenti, sebbene l’entità del premio possa variare.