Ascolto attivo: cos’è e perché è importante nel lavoro
Fondamentale per una comunicazione efficace, l’ascolto attivo prevede che la persona si focalizzi completamente su chi sta parlando, mettendo a suo agio l’interlocutore e provando a capire il suo punto di vista. L’obiettivo? Comprenderne motivazioni, pensieri e aspettative, sospendendo il giudizio.
Che cos’è l’ascolto attivo
Spesso, sul lavoro, si tende ad ascoltare in modo passivo: quando un collega, un dipendente o un responsabile parla, capita ci si lascia distrarre da e-mail e telefonate, da ciò che succede nella stanza e persino dai propri pensieri. Così facendo, però, non si riesce a memorizzare quanto detto dall’interlocutore e si conduce una discussione poco proficua.
Al contrario, nell’ascolto attivo, si ascoltano e si comprendono le idee altrui prima di esporre le proprie. E si evitano le distrazioni. In questo modo si guadagna la fiducia del proprio interlocutore e si stringono legami collaborativi.
I benefici dell’ascolto attivo
Chiamato anche ascolto empatico, l’ascolto attivo fu “inventato” negli anni Cinquanta da Carl Rogers e Richard Farson, che lo definirono come “la capacità di ascoltare senza recepire passivamente le parole che l’interlocutore pronuncia”. L’accento, però, non è posto sul tempo: ascoltare attivamente non vuol dire trascorrere lunghe ore a chiacchierare, ma ascoltare in modo empatico, aperto e sincero chi si ha davanti.
Sul luogo di lavoro, l’ascolto attivo permette di:
- costruire una solida rete di legami: se ascolti i tuoi colleghi, questi saranno più propensi ad ascoltarti durante i meeting e le riunioni;
- porsi come un interlocutore fidato: quando si devono confidare o confrontare, le persone si rivolgono a chi le ascolta attivamente. Essere un ascoltatore attivo vuol dire essere una persona di fiducia, con cui instaurare un rapporto sincero;
- migliorare le proprie skills: l’ascolto attivo è tra le doti più cercate in un leader, ma è apprezzato ad ogni livello della gerarchia aziendale;
- risolvere i conflitti: quando i punti di vista sono diversi, possono nascere fraintendimenti e conflitti. L’ascolto attivo ti incoraggia ad assumere la prospettiva del tuo interlocutore;
- recepire le istruzioni e le informazioni senza distrazioni, a tutto vantaggio della produttività.
Ascolto attivo, esercizi pratici
L’ascolto attivo può essere allenato tramite specifici comportamenti:
- guarda il tuo interlocutore negli occhi, adattando il contatto visivo alla situazione in cui ti trovi;
- controlla la postura: evita di tenere le braccia o le gambe incrociate, che ti fanno sembrare sulla difensiva;
- presta attenzione alle espressioni del volto, il tono di voce e la gestualità: il tuo interlocutore sta sorridendo, ha le braccia incrociate o si stropiccia gli occhi come se fosse stanco? Analizzare il suo comportamento può dirti molto sul suo stato d’animo;
- non interrompere, o l’altra persona penserà che non abbia tempo per ciò che ha da dire: se il tuo interlocutore fa una pausa non significa che devi intervenire;
- ascolta senza giudicare e senza trarre conclusioni;
- non iniziare a pensare a ciò che vorresti dire dopo;
- dimostra che stai ascoltando: annuisci con la testa e sorridi per mostrare che stai ascoltando e per incoraggiare l’oratore a continuare. Non guardare l’orologio, non agitarti e non giocare con i capelli o con le unghie;
- preferisci le domande articolate e aperte agli interrogativi brevi;
L’ascolto attivo secondo Thomas Gordon
Uno tra i modelli d’ascolto attivo più utilizzati è il Modello Gordon, dal nome dello psicologo americano Thomas Gordon. Tale modello, perfezionato sul finire degli anni Settanta, e applicato oggi in ambito scolastico e aziendale, si basa su quattro momenti:
- ascolto passivo;
- accoglimento;
- inviti calorosi;
- ascolto riflessivo.
L’ascolto passivo coincide col silenzio: si comincia ad ascoltare l’interlocutore, mostrandogli la propria attenzione, guardandolo negli occhi e mantenendo una postura aperta. Segue l’accoglimento, durante il quale si inviano all’altro piccoli incoraggiamenti a procedere, di tipo verbale o non verbale. La parola, in questa fase, è solamente un supporto di ciò che l’interlocutore dice. Successivamente si passa agli inviti calorosi: con le parole, si invita la persona ad approfondire ciò che sta dicendo. Infine, si mette in pratica il cosiddetto “ascolto riflessivo”: si ripete ciò che il proprio interlocutore ha detto, con parole diverse. La persona “riflessa” avrà così la percezione di essere ascoltata e compresa.