Lavoro e maternità: una donna su cinque lascia il lavoro dopo il primo figlio
Sono 44.699 le madri che, nel 2022, hanno lasciato il lavoro. A dirlo è l’ultima “Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri” pubblicata il 25 gennaio scorso, che evidenzia come il 96,8% delle donne sia rimasto senza occupazione a seguito di dimissioni volontarie. Rispetto al 2021, le madri lavoratrici che hanno scelto di licenziarsi sono state 7.037 in più.
Dimissioni volontarie: quante lavoratrici si licenziano (e perché)
Secondo quanto emerge dal rapporto dell’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro), il 79,1% delle convalide delle dimissioni riguarda donne tra i 29 e i 44 anni: la fascia più colpita, con 18.853 dimissioni, è quella compresa tra i 34 e i 44 anni.
Guardando al numero dei figli, le dimissioni sono state rassegnate nel 58,4% dei casi da donne e uomini con un figlio. Il 32,5% delle convalide riguarda genitori con due figli, il 7,5% genitori con più di due figli. A fotografare l’incidenza della maternità/paternità sull’occupazione c’è un ulteriore dato, evidenziato dalla ricerca: il 50% delle dimissioni interessa genitori con figli di 1 anno, il 22,8% genitori con figli tra i 1 e 3 anni, il 26,2% genitori di figli con più di 3 anni.
Quali professioni svolgono le madri che si licenziano? Prevalentemente si tratta di impiegate (54,6%) e operaie (38,4%), titolari di rapporti di lavoro inferiori ai dieci anni, con un impiego nel settore terziario (28.607), nell’industria (4.441) oppure in settori di cui non sono state fornite informazioni (10.932).
Infine, in merito ai motivi, il 37,5% dei genitori ha dichiarato d’essersi licenziato per il passaggio a un’altra azienda, il 32,2% per la mancanza di Work Life Balance e per la difficoltà di conciliare figli e lavoro a causa dell’assenza o della scarsità di servizi, il 17,6% per motivi legati all’organizzazione lavorativa o a scelte del datore di lavoro, il 3,1% per l’eccessiva distanza dal luogo di lavoro o per un cambio di residenza. Guardando alle sole donne, tuttavia, le differenze di percentuali sono più nette: mentre il 78,9% degli uomini si è licenziato per passare a un’altra azienda, e solo il 7,1% per dedicarsi alla cura dei figli, le donne si sono licenziate per l’assenza di servizi di supporto alla maternità (41,7%) oppure per problemi legati all’organizzazione del lavoro (21,9%).
Mancato sostegno dei parenti e assenza di servizi tra i motivi delle dimissioni
La fotografia restituita dalla “Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri” evidenzia come sia proprio l’assenza di servizi, a indurre i genitori – in particolare le madri – a rassegnare le dimissioni.
Il 76% dichiara di non avere il supporto dei parenti nella gestione dei figli, il 20% di non riuscire a sostenere il costo dei servizi di cura (mentre, il mancato accoglimento al nido, è citato solo dal 4% dei neogenitori). Chi imputa il licenziamento a motivi d’organizzazione lavorativa o al comportamento del datore di lavoro, fornisce come motivazione un lavoro gravoso o inconciliabile con la genitorialità (60%) e la distanza tra l’abitazione e il luogo di lavoro (22,4%). Il 9,5% delle donne, inoltre, lamenta il rifiuto da parte del datore di lavoro di modificare turni e orari (9,5%) e la mancata concessione del part-time (5,6%).
Il problema del Gender Pay Gap
Anche quando le madri non si licenziano, si trovano a fare i conti con la discriminazione e con il Gender Gap.
Secondo il Gender Pay Gap Report di Payscale, basato sui dati salariali dei lavoratori statunitensi, le madri guadagnano 75 centesimi per ogni dollaro corrisposto ai padri. In Italia, la situazione non è diversa: il Gender Pay Gap riguarda l’84% delle donne con figli minori di 3 anni, con 7 donne su 10 che vedono la propria carriera arrestarsi per via della maternità, e lo stesso numero di donne vittima di commenti e allusioni relative alla maternità. È quanto emerge dal Survey L.E.I. 2024 di Fondazione Libellula, secondo cui le maggiori criticità si avvertono nel settore sanitario e legale.