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Published 19 Giugno 2025 - in Knowledge Center

Talent management: come valorizzare le persone per il successo aziendale | Wyser

Talent management: crescita e sviluppo del team

In un mercato del lavoro dove la rapidità del cambiamento è diventata la norma, e non più l’eccezione, trattenere e valorizzare le persone giuste è ciò che distingue un’organizzazione lungimirante da una destinata a inseguire.

Secondo una recente indagine di KPMG [1], oltre il 70% degli amministratori delegati considera l’attrazione e la fidelizzazione delle risorse come la priorità assoluta per il proprio business, inoltre un report di Deloitte [2] evidenzia che le aziende con un approccio strutturato al talent management registrano performance fino al 30% superiori rispetto alla media del mercato. È evidente, dunque, che la gestione dei professionisti non può più essere solo un compito del dipartimento HR, ma una leva trasversale che coinvolge tutta l’organizzazione e impatta direttamente su crescita, resilienza e sostenibilità.

INDICE DEI CONTENUTI

Cos’è il talent management?

Il talent management è un approccio strategico e integrato volto a garantire che l’organizzazione disponga delle persone con le giuste competenze, hard e soft, nei ruoli giusti. Non si tratta di mera gestione operativa delle risorse umane, bensì di un ambito specialistico strategico, finalizzato alla generazione di valore attraverso il capitale umano. Significa adottare un approccio sistemico per pianificare, attrarre, sviluppare, motivare e trattenere professionisti ad alto potenziale o in ruoli critici, essenziali per garantire la sostenibilità e l’innovazione del business.

Il talent management include al suo interno processi come l’attrazione dei candidati, l’onboarding, la formazione continua, la valutazione delle performance, la fidelizzazione, la pianificazione delle carriere e delle successioni. Ma, il suo reale elemento distintivo risiede nella piena integrazione con la strategia aziendale, a supporto degli obiettivi di medio-lungo termine e della creazione di vantaggio competitivo: non si limita a soddisfare bisogni contingenti, ma anticipa le competenze future, costruendo resilienza organizzativa e leadership diffusa.

È importante distinguere il talent management dalla talent acquisition, che ne rappresenta solo la fase iniziale: l’ingresso in azienda. La prima si concentra su una visione sistemica e di lungo termine, che comprende lo sviluppo del potenziale, la crescita interna e l’engagement. La seconda, pur essenziale, è limitata alla selezione e all’inserimento dei nuovi collaboratori.


Quali sono i vantaggi di un talent management efficace?

I benefici sono molteplici e interconnessi:

  • Aumento della produttività: persone motivate e valorizzate contribuiscono con maggiore efficacia agli obiettivi aziendali.
  • Maggiore capacità di adattamento: una risorsa formata e consapevole delle proprie competenze affronta il cambiamento con agilità.
  • Attrazione e fidelizzazione dei talenti: le aziende che investono nello sviluppo delle persone risultano più attrattive e trattengono più a lungo i profili ad alto potenziale.
  • Innovazione diffusa: i professionisti ad alte prestazioni sono in grado di generare idee originali, risolvere problemi complessi e alimentare una cultura dell’innovazione.
  • Pianificazione strategica più efficace: la conoscenza approfondita delle competenze interne consente una migliore allocazione delle risorse e una gestione proattiva del capitale umano.
  • Riduzione del turnover: un ambiente orientato allo sviluppo professionale contribuisce a trattenere i migliori professionisti, riducendo i costi legati alla perdita di competenze chiave.

Gli studi lo confermano: in un contesto in cui il cambiamento è continuo e le competenze diventano rapidamente obsolete, le aziende che riescono a investire in percorsi di upskilling e reskilling, offrendo opportunità di crescita concreta, sono anche quelle che riescono a trattenere le persone migliori. Secondo il LinkedIn Workplace Learning Report 2025 [3], il 94% dei professionisti resterebbe più a lungo in azienda se questa investisse attivamente nella loro formazione. E dati raccolti da Rallyware [4] confermano che la mancanza di opportunità di apprendimento è una delle principali cause di abbandono del posto di lavoro.

Anche le ricerche condotte da Deloitte [5] e McKinsey [6] mostrano come le organizzazioni che adottano una visione olistica della gestione delle risorse ottengano performance superiori, maggiore agilità e vantaggi competitivi sostenibili.


Le fasi del processo di talent management

Per il management aziendale, la gestione delle risorse rappresenta quindi un driver strategico per assicurare crescita sostenibile, innovazione e vantaggio competitivo. Non si tratta di un insieme di iniziative la cui responsabilità ricade sui manager del dipartimento HR, ma di un processo integrato che abbraccia l’intero ciclo di vita della persona all’interno dell’organizzazione.

Talent acquisition e onboarding

I manager sono i primi ambasciatori della cultura aziendale. Devono contribuire alla definizione di un employer branding solido, supportare attivamente i processi di selezione e garantire un onboarding strutturato. Un inserimento ben progettato, con formazione iniziale, mentoring e integrazione nei team, aumenta significativamente la retention nei primi anni, arrivano al 69% [7] le probabilità che un nuovo assunto resti oltre i primi 3 anni.

Talent development

Il talent development non può essere lasciato al caso. I Piani di Sviluppo Individuale (IDP) aiutano a tracciare percorsi chiari per promuovere upskilling e reskilling, attivare strumenti come coaching, mentoring e job rotation e monitorare l’efficacia degli interventi di sviluppo in ottica di business continuity.

Gestione delle performance, engagement e retention

La gestione della performance oggi richiede un approccio evoluto: obiettivi chiari, feedback regolari, conversazioni di sviluppo. I manager devono agire come facilitatori di engagement, riconoscendo pubblicamente i meriti di ciascun membro del team, offrendo prospettive di crescita e promuovendo ambienti collaborativi. Anche compensation e fringe benefit devono essere interpretati in chiave strategica, come leve per trattenere i professionisti chiave.

Succession planning

Il succession planning non può essere rimandato o gestito in ottica emergenziale. I manager, con il supporto dell’HR, devono mappare i ruoli critici, identificare i profili ad alto potenziale e attivare percorsi di crescita mirati. Questo consente di garantire la continuità del business, ridurre i rischi organizzativi e valorizzare il capitale interno.


Costruire una strategia di talent management vincente

Per costruire una strategia efficace di talent management, coerente con la cultura aziendale e con gli obiettivi di business, McKinsey [8] suggerisce 9 pratiche che i manager possono applicare:

  1. Valutare la domanda futura di competenze, in base agli obiettivi di business e ai trend di mercato.
  2. Mappare l’offerta attuale di competenze all’interno dell’organizzazione.
  3. Identificare le lacune e costruire un business case per colmarle con interventi mirati.
  4. Definire un portafoglio coerente di iniziative per colmare le competenze critiche.
  5. Progettare percorsi di apprendimento personalizzati per ruoli, funzioni o segmenti di popolazione aziendale.
  6. Scegliere l’infrastruttura di apprendimento e gli abilitatori (tecnologici, metodologici, organizzativi).
  7. Lanciare uno skilling hub o una struttura dedicata alla governance della formazione continua.
  8. Implementare programmi di reskilling/upskilling su larga scala, allineati alle priorità strategiche.
  9. Attivare sistemi di monitoraggio dinamico dell’impatto delle iniziative adottate (ad esempio, ritorno sull’investimento, impatto sui risultati aziendali).

Inoltre, parallelamente a queste pratiche, per gestire al meglio le performance dei dipendenti, è essenziale il coaching costante, non relegato a incontri annuali ma integrato nella quotidianità, per offrire feedback tempestivi e concreti. Per supportare le valutazioni, i manager devono poter contare su dati e analisi affidabili, in grado di restituire un quadro oggettivo delle performance. Serve inoltre la capacità di premiare in modo chiaro chi eccelle e investire nello sviluppo degli altri. Infine, incoraggiare il feedback tra pari consente di avere una visione più completa e meno distorta, particolarmente utile in contesti collaborativi e organizzazioni meno gerarchiche.


KPI essenziali per misurare l’efficacia del talent management

Come detto precedentemente, per rendere sostenibile e migliorabile ogni strategia di talent management, è essenziale monitorare e misurare i risultati. I manager hanno a disposizione diversi KPI e quando si sceglie quali adottare è importante che essi siano chiari, pertinenti, significativi e facili da comprendere. Tra i più comuni troviamo:

  • Tasso di turnover: indica la percentuale di dipendenti che lasciano l’azienda in un determinato periodo. Un valore elevato può segnalare problemi di engagement, leadership o sviluppo delle persone.
  • Tempo e costo di assunzione: misura la rapidità ed efficienza del processo di recruiting. Tempi lunghi o costi elevati possono compromettere la competitività dell’organizzazione nel trattenere i migliori professionisti.
  • Tempo per raggiungere la piena produttività: valuta quanto tempo impiega un nuovo assunto a diventare completamente operativo. È un indicatore chiave dell’efficacia dell’onboarding e della qualità dell’inserimento.
  • Tasso di completamento dei programmi formativi: misura la percentuale di dipendenti che concludono i percorsi di formazione avviati. È utile per comprendere il reale engagement verso la crescita professionale e l’adeguatezza dei programmi.
  • Percentuale di posizioni chiave coperte internamente: indica la capacità dell’azienda di sviluppare e promuovere risorse interne per ruoli critici, riducendo la dipendenza dal mercato esterno e rafforzando la continuità organizzativa.
  • Livelli di engagement e di soddisfazione: rilevati attraverso survey strutturate, rappresentano il livello di motivazione e benessere delle persone in azienda.

Il calcolo del ROI delle iniziative di talent management è infine cruciale per dimostrare in modo tangibile l’impatto sulle performance aziendali, rafforzando la legittimazione del talent management come leva strategica di valore e non come centro di costo.


Il Ruolo chiave del talent manager e del dipartimento HR

In alcune organizzazioni, soprattutto quelle più grandi e strutturate, accanto ai manager e ai livelli apicali, è presente una figura dedicata in modo specifico al talent management: il Talent Manager. Questa figura:

  • sviluppa piani di intervento allineati alle priorità e ai fabbisogni dell’organizzazione;
  • definisce e implementa strategie di employer branding;
  • monitora le performance delle risorse chiave, ne sostiene la motivazione e la crescita;
  • progetta azioni mirate per ridurre il turnover e rafforzare la retention.

A questi compiti si aggiunge una responsabilità più ampia: guidare l’analisi predittiva dei fabbisogni futuri, mappare le competenze critiche e disegnare percorsi di sviluppo coerenti con le traiettorie strategiche dell’impresa. Il suo obiettivo non è solo pianificare successioni o carriere, ma radicare una cultura del talento come leva competitiva quotidiana.

Per farlo con efficacia, deve unire competenze analitiche (data literacy, people analytics) e soft skill avanzate, tra cui ascolto, empatia organizzativa, comunicazione strategica e visione sistemica.

Un’efficace gestione dei professionisti richiede inoltre leadership inclusiva: la capacità di valorizzare la diversità, riconoscere il potenziale nei profili meno convenzionali e creare ambienti psicologicamente sicuri, dove le persone possano esprimere al meglio se stesse. In questo senso, il Talent Manager non agisce da solo, ma si muove all’interno di un ecosistema coordinato, in cui il dipartimento HR ha il compito di progettare strutture e processi agili, accessibili e scalabili.

Il ruolo dell’HR oggi non può più essere confinato alla dimensione amministrativa: per essere realmente efficace, deve diventare partner strategico del business, lavorando fianco a fianco con il top management e i manager di linea. È una funzione capace di generare vantaggio competitivo, un motore di innovazione organizzativa, dotato di visione, dati e influenza culturale [9].

Un punto chiave è la collaborazione tra HR e manager operativi, i primi responsabili della gestione quotidiana dei collaboratori. Secondo Deloitte, la risorsa non può essere “delegata” all’ufficio del personale: ogni manager deve essere responsabilizzato nella cura e nello sviluppo del proprio team, assumendosi un ruolo attivo nella costruzione della cultura aziendale [10]. L’HR, in questo scenario, fornisce strumenti, supporto, insight e una cornice metodologica che renda efficace e misurabile l’azione manageriale.

Un’azione integrata tra Talent Manager, HR e leadership aziendale permette di trasformare il talent management da pratica isolata a cultura diffusa. Non si tratta solo di “gestire risorse”, ma di attivare un ecosistema che riconosce, coltiva e valorizza le persone in ogni fase della vita professionale. Questo approccio contribuisce non solo alla retention e alla produttività, ma rafforza anche l’identità aziendale, favorisce l’innovazione e aumenta la resilienza dell’organizzazione nei momenti di crisi o cambiamento.

In definitiva, la trasformazione del ruolo HR e la centralità del Talent Manager rappresentano oggi una priorità strategica per tutte le organizzazioni che vogliono attrarre, trattenere e attivare persone capaci di fare la differenza.

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