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Published 25 Luglio 2025 - in Knowledge Center

Benessere organizzativo: vantaggi e leve per il management | Wyser

Benessere organizzativo: perché è la chiave della performance a lungo termine

In un mercato sempre più complesso, in costante evoluzione e fortemente orientato alle persone, il benessere organizzativo si afferma come un pilastro imprescindibile per il successo delle aziende moderne. È un elemento strategico per garantire competitività, attrattività e resilienza. Le organizzazioni che investono concretamente nel benessere dei propri collaboratori ottengono vantaggi tangibili, distinguendosi come luoghi di lavoro sostenibili, dinamici e orientati al futuro – un legame ormai dimostrato in modo inequivocabile da numerosi studi.

INDICE DEI CONTENUTI

Cos’è il benessere organizzativo aziendale?

Per benessere organizzativo si intende la capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale di tutte le persone che operano al suo interno. Nel tempo, il concetto si è evoluto: da un approccio inizialmente centrato sulla sicurezza sul lavoro, oggi il benessere organizzativo include anche la salute mentale, l’equilibrio tra vita privata e professionale e le opportunità di sviluppo personale. Un cambiamento che riflette la crescente consapevolezza dell’importanza di mettere le persone al centro delle strategie aziendali.

Studi e ricerche hanno dimostrato che le strutture più efficienti sono quelle in cui i dipendenti, a tutti i livelli, sono soddisfatti e operano in un clima interno sereno, partecipativo e collaborativo. La motivazione, la fiducia, la flessibilità, la corretta circolazione delle informazioni e il coinvolgimento attivo sono fattori determinanti che contribuiscono al benessere mentale e fisico, alla soddisfazione e, in ultima analisi, a una maggiore produttività aziendale.

Perché il benessere organizzativo è una leva strategica fondamentale?

In un mondo del lavoro sempre più instabile e in evoluzione, le persone oggi vogliono lavorare in contesti in cui si sentano ascoltate, valorizzate, protette. Il benessere – inteso come condizione di equilibrio fisico, psicologico e relazionale – è oggi la prima ragione per cui le persone scelgono di cambiare lavoro. Le organizzazioni che hanno compreso questo cambiamento culturale e hanno adottato strategie strutturate in tal senso stanno già raccogliendo risultati tangibili: i livelli di engagement raggiungono il 54% e la percentuale di dipendenti che si dichiarano felici sul posto di lavoro cresce dal 5% al 23% [1].

A sottolineare l’importanza del benessere sul lavoro e un cambiamento culturale in atto è anche l’ultimo rapporto Eudaimon Censis, intitolato “Lavoro, aziende e benessere dei lavoratori: un’epoca nuova”. Oltre l’80% degli intervistati ritiene necessario un maggiore impegno da parte delle aziende nella tutela della salute psicofisica. Inoltre, quasi l’86% esprime il desiderio che la propria realtà lavorativa introduca – o potenzi – politiche di welfare aziendale più strutturate. La salute fisica continua a rappresentare una priorità per circa l’80% dei dipendenti, ma anche il benessere mentale sta guadagnando centralità, con il 70% che dichiara di sentirsi preoccupato in merito. Un dato particolarmente significativo riguarda il 42% dei lavoratori, che auspica l’introduzione di una figura specializzata come il welfare coach, un professionista capace di orientare e supportare le persone nella scelta dei servizi più adatti alle proprie esigenze [2].

I vantaggi per le aziende: benessere come acceleratore di performance

Da un punto di vista organizzativo, una strategia di benessere efficace porta con sé numerosi benefici:

  • Aumento della produttività: lavorare in un ambiente sano e stimolante migliora la concentrazione, la motivazione e l’efficienza. Le persone si sentono più coinvolte e responsabili.
  • Riduzione di turnover e assenteismo: un buon clima interno riduce il rischio di abbandono e il costo che deriva dalla ricerca e dall’onboarding di nuove figure.
  • Miglioramento del clima aziendale: relazioni più sane tra colleghi e manager creano una cultura interna più inclusiva, empatica e collaborativa.
  • Employer branding più forte: un’azienda che investe nel benessere viene percepita come un luogo di lavoro desiderabile, attrattivo per i migliori professionisti.

Molte le ricerche che avvalorano queste evidenze. Un’indagine recente condotta da Aon ha evidenziato che anche piccoli progressi nel benessere dei dipendenti possono avere un impatto significativo sui risultati aziendali: un incremento del 3% nel livello di benessere interno è associato a un miglioramento dell’1% nella soddisfazione e nella fidelizzazione dei clienti, mentre un miglioramento del 4% può tradursi in un aumento dell’1% dei profitti aziendali [3].

Un’analisi di SaaS BMP ci dice che le aziende con engagement elevato registrano un 41% in meno di assenteismo e un calo fino al 59% del turnover [4]. E ancora, uno studio dell’Università di Oxford fa emergere una chiara correlazione tra il benessere dei dipendenti e il successo economico delle aziende. Le organizzazioni con livelli più alti di benessere registrano profitti maggiori, valutazioni più alte e rendimenti superiori. Un solo punto in più nei punteggi di felicità può tradursi in un aumento dei profitti annuali tra 1,39 e 2,29 miliardi di dollari.

Inoltre, una ricerca di McKinsey ha evidenziato che l’impatto positivo lo si riscontra anche a livello macroeconomico. Si stima che migliorare il benessere del personale potrebbe generare un valore economico globale fino a 11.700 miliardi di dollari. Un impatto così rilevante da tradursi in un aumento del PIL mondiale compreso tra il 4% e il 12% [5].

I vantaggi per i lavoratori: persone più coinvolte e motivate

Anche sul piano individuale, l’impatto è significativo:

  • Maggiore motivazione e soddisfazione lavorativa: quando le persone si sentono riconosciute e supportate, restituiscono valore all’organizzazione in modo spontaneo e duraturo.
  • Migliore salute mentale e fisica: ridurre i fattori di stress cronico, migliorare l’equilibrio vita-lavoro e promuovere la cura di sé diminuisce il rischio di burnout e malessere psicologico.
  • Aumento del senso di appartenenza: chi percepisce l’azienda come un luogo che si prende cura della propria persona è più propenso a impegnarsi nel tempo e a sviluppare una lealtà profonda.
  • Empowerment personale e crescita professionale: programmi di benessere aziendale ben progettati spesso includono anche percorsi di sviluppo, coaching e formazione che stimolano la crescita e il miglioramento continuo.

Diversi sono anche gli studi che vanno ad indagare il punto di vista del singolo lavoratore e i benefici professionali e personali che derivano dalle scelte delle aziende di investire nel benessere organizzativo. Uno degli ultimi rapporti Zipdo rivela che il 69% delle persone che partecipa a programmi di benessere dichiara una maggiore soddisfazione lavorativa; il 62% ritiene che i programmi di benessere migliorino l’equilibrio tra lavoro e vita privata e addirittura l’82% dichiara di sentirsi più valorizzato sul lavoro quando le aziende promuovono iniziative in tal senso [6].

Le dimensioni chiave del benessere organizzativo

Il benessere aziendale è un concetto multidimensionale. Analizzare nel dettaglio queste dimensioni permette ai manager di individuare punti di forza, criticità e opportunità di miglioramento per costruire un ambiente di lavoro realmente sostenibile e sano.

Benessere fisico e sicurezza

La salute fisica dei collaboratori resta il primo pilastro di ogni strategia sostenibile. Oltre che a adempiere agli obblighi normativi (D.Lgs. 81/08), i manager devono essere in grado di ripensare ambienti e abitudini con un approccio preventivo e personalizzato. Ergonomia delle postazioni, anche in modalità ibrida, accesso a screening periodici, partnership con strutture sportive o wellness provider concorrono a ridurre l’assenteismo e migliorare la qualità della vita lavorativa.

Benessere psicologico e mentale

Nel contesto attuale, caratterizzato da carichi cognitivi elevati, incertezza e iperconnessione, la salute mentale è diventata una priorità strategica. Creare un ambiente psicologicamente sicuro, in cui si possa sbagliare senza timore, esprimere dubbi e confrontarsi apertamente, aumenta l’engagement e riduce il turnover. Dati Gallup indicano che i team con un forte senso di sicurezza psicologica sono 12 volte più propensi a generare performance elevate [7]. Programmi di ascolto attivo, formazione alla gestione dello stress, coaching e supporto psicologico accessibile sono strumenti imprescindibili per ridurre il rischio di burnout e favorire una cultura della cura.

Benessere sociale e relazionale

Una cultura aziendale basata su collaborazione, rispetto e connessioni autentiche favorisce non solo il benessere individuale, ma anche la produttività collettiva. Il benessere relazionale si costruisce attraverso una comunicazione trasparente, un clima aperto e pratiche di team building mirate, che abbiano obiettivi chiari e coerenza con i valori aziendali.

Sviluppo professionale e valorizzazione

Sentirsi utili, riconosciuti e in crescita è uno dei driver principali di benessere lavorativo. Non è sufficiente offrire corsi di formazione spot: servono percorsi chiari di sviluppo, feedback regolari, manager capaci di valorizzare le competenze del proprio team e sistemi meritocratici di riconoscimento.

Equilibrio vita-lavoro

Infine, l’equilibrio tra vita privata e professionale non è più un “nice to have”, ma un criterio di scelta per il 74% dei lavoratori, secondo Deloitte [8]. Politiche di flessibilità reale, diritto alla disconnessione, gestione sostenibile dei carichi e una leadership che sia di esempio sono essenziali per prevenire situazioni di malessere.

Il ruolo dell’HR Manager: come misurare il benessere organizzativo

Il benessere organizzativo, per essere davvero efficace, va trattato come qualsiasi altro asset strategico: con dati, metriche e indicatori chiari. Solo così i manager possono individuare le leve più efficaci e intervenire in modo tempestivo dove il clima si sta deteriorando o le persone iniziano a sentirsi meno coinvolte. Tra gli strumenti principali:

  • Indagini e sondaggi – la misurazione comincia dall’ascolto. Strumenti quantitativi – come i climate survey, i pulse survey periodici o i questionari sullo stress lavoro-correlato (obbligatori ai sensi del D.Lgs. 81/08) – permettono di mappare in modo sistematico la percezione dei collaboratori. Questi dati, aggregati e anonimi, aiutano a identificare pattern ricorrenti, zone critiche e trend nel tempo.
  • Focus Group e colloqui – accanto ai numeri servono conversazioni. I focus group interni, i colloqui individuali e gli incontri informali sono preziosi per raccogliere insight qualitativi che spesso sfuggono alle survey standard. È qui che si colgono segnali deboli prima che diventino criticità manifeste.
  • Analisi dei KPI – il benessere si riflette nei numeri. Monitorare indicatori chiave come l’indice di soddisfazione dei dipendenti (eNPS – Employee Net Promor Score), il tasso di turnover, l’assenteismo, le richieste di trasferimento interno, il numero di congedi per malattia o permessi legati alla salute mentale aiuta a costruire una dashboard del benessere. Parallelamente è importante valutare la produttività, la qualità del lavoro e la soddisfazione del cliente, che riflettono il benessere in azienda. Incrociando questi dati con le indagini e i feedback, è possibile intervenire in modo predittivo e mirato.

Responsabile di queste analisi spesso è l’HR manager, che si trova oggi in una posizione unica per attivare un cambiamento culturale profondo. Il successo di qualsiasi politica di benessere non dipenderà solo da iniziative spot, ma dalla capacità dei leader HR di conciliare le esigenze di performance con la tutela del benessere sul posto di lavoro.

Gli HR manager devono essere pronti a rispondere a questa sfida, sviluppando competenze e strumenti adeguati. La chiave del successo sarà la capacità di bilanciare l’attenzione al benessere individuale con le esigenze organizzative, creando ambienti di lavoro che non solo prevengano il disagio mentale, ma promuovano attivamente il benessere psicologico.

Ecco le competenze distintive che oggi fanno la differenza [9]:

  • Intelligenza emotiva e capacità di ascolto attivo: per riconoscere in modo tempestivo segnali di malessere anche latente, soprattutto in contesti ibridi dove il disagio rischia di passare inosservato.
  • Design organizzativo orientato al benessere: per progettare esperienze lavorative che favoriscano il recupero psico-fisico, integrando momenti di rigenerazione nei processi, nei tempi e negli spazi di lavoro.
  • Competenza nella gestione della complessità psicosociale: per leggere le dinamiche di vulnerabilità che possono emergere nei team, dalla fatica digitale al senso di disconnessione, e affrontarle con approcci basati su empatia e inclusione.
  • Leadership culturale e comunicativa: per promuovere con coerenza una cultura organizzativa fondata sull’autenticità, sul rispetto reciproco e su pratiche manageriali che mettono la persona al centro, senza rinunciare all’eccellenza operativa.

Strategie per implementare e migliorare il benessere in azienda

Secondo il Global Wellbeing Survey di Aon, l’82% delle organizzazioni a livello mondiale riconosce il benessere come una priorità, includendolo tra le proprie aree di interesse strategico. Tuttavia, tra riconoscere l’importanza del benessere e implementare una strategia strutturata esiste ancora un divario significativo: solo il 55% delle aziende che promuovono iniziative di benessere dispone di una strategia chiara e integrata [10].

Per i vertici aziendali, ciò rappresenta un’opportunità e insieme una responsabilità: trasformare l’intento in azione, superando approcci frammentati e reattivi. È essenziale adottare una visione ampia e sistemica, che tenga conto dei molteplici aspetti che influenzano la qualità della vita lavorativa e privata: dal benessere psicofisico alla salute, dal benessere economico a quello relazionale, fino alla work-life integration, all’ascolto attivo, alla formazione continua, alla Diversity & Inclusion e alla cultura manageriale.

A questo proposito, un contributo particolarmente rilevante per chi guida le organizzazioni arriva da un articolo pubblicato su Harvard Business Review da accademiche del MIT e di Harvard [11]. Le autrici propongono sette strategie chiave che i manager possono adottare per promuovere il benessere organizzativo e migliorare concretamente la soddisfazione delle persone. Si tratta di leve gestionali altamente efficaci, basate su dati empirici e applicabili in diversi contesti organizzativi:

  1. Concedere più autonomia: dare ai collaboratori autonomia su come organizzare e svolgere il proprio lavoro aumenta il senso di responsabilità e fiducia, riduce lo stress e ha effetti positivi anche sulla salute fisica.
  2. Flessibilità nei tempi e nei luoghi di lavoro: offrire margini di flessibilità, sia sugli orari che sulle modalità di presenza, migliora il benessere mentale e favorisce l’equilibrio tra vita privata e lavoro.
  3. Programmazione: evitare pianificazioni last minute, riduce lo stress e migliora il sonno, soprattutto per chi ha carichi familiari importanti.
  4. Partecipazione alla risoluzione dei problemi: coinvolgere attivamente le persone nei processi decisionali e nella soluzione dei problemi operativi aumenta l’engagement e riduce il rischio di burnout.
  5. Adeguata suddivisione del lavoro: investire in un’organizzazione del lavoro che assicuri carichi sostenibili è cruciale per tutelare salute, motivazione e performance.
  6. Supporto alle esigenze personali: allenare i manager a riconoscere e sostenere le esigenze familiari dei propri collaboratori crea un clima più umano e inclusivo.
  7. Cultura del lavoro e appartenenza sociale: promuovere una cultura basata su relazioni di supporto, ascolto e inclusione rafforza il senso di appartenenza e la coesione interna.

Adottare queste pratiche non è solo un segno di attenzione alle persone, ma un atto di leadership strategica. Tuttavia, tra intenzione e percezione si apre ancora un divario significativo.

Da una ricerca di Deloitte [12] emerge che, se da un lato il 96% dei manager riconosce di avere una responsabilità diretta nel sostenere il benessere dei propri collaboratori, dall’altro i dipendenti faticano a percepire un impegno coerente da parte della leadership: solo il 50% ritiene che gli executive si prendano realmente cura del loro benessere, e il 68% lo riconosce nei manager. Questo scollamento si riflette anche nella fiducia complessiva: mentre l’89% dei dirigenti dichiara che la propria organizzazione promuove attivamente il benessere sul luogo di lavoro attraverso iniziative legate allo sviluppo delle persone e alla salute, solo il 41% dei dipendenti condivide questa visione.

Per colmare questi gap e allineare percezioni e azioni, i vertici aziendali sono chiamati a compiere un salto di paradigma. Deloitte suggerisci ulteriori leve operative che coinvolgono soprattutto figure più al vertice (executive, C-level) per rafforzare l’efficacia delle strategie di benessere:

  • Legare i risultati di benessere agli obiettivi di leadership, includendoli nei sistemi premianti.
  • Aumentare la trasparenza e favorire il dialogo sui temi del benessere, promuovendo comportamenti coerenti a partire dall’esempio del top management.
  • Dotare i manager di formazione e strumenti, affinché possano agire come facilitatori attivi del benessere nei propri team.
  • Adottare una visione di lungo periodo, integrando la sostenibilità umana come driver strategico trasversale all’organizzazione.
  • Nominare una figura di riferimento per la sostenibilità umana, in grado di connettere benessere, DEI, purpose e cultura, assicurandone l’integrazione nei processi aziendali e nelle policy globali.

Case history

Osserviamo da vicino chi eccelle nel costruire ambienti di lavoro inclusivi, equi e attenti al benessere delle persone. La classifica Great Place to Work Italia individua le imprese italiane che si distinguono per una cultura realmente attenta all’ascolto, alla valorizzazione delle differenze e alla sostenibilità umana [13]. Le esperienze di queste organizzazioni rappresentano esempi tangibili di come il benessere non sia più una leva soft, ma una componente imprescindibile di performance, reputazione e innovazione.

Teleperformance si distingue per la capacità di dare voce alle proprie persone attraverso un ascolto strutturato e continuo. Oltre a survey periodiche, l’azienda promuove momenti di confronto verticale e orizzontale e ha introdotto figure dedicate alla gestione della diversity e all’inclusione. Questo approccio ha permesso di raccogliere insight preziosi per progettare interventi su misura, rafforzando la fiducia dei collaboratori e riducendo il turnover.

Cisco ha fatto dell’inclusività un pilastro strategico, anche sul piano tecnologico. Ha sviluppato strumenti digitali accessibili per favorire l’integrazione delle persone con disabilità e ha creato ambienti fisici e virtuali inclusivi. Il tutto integrato in una governance trasparente, che consente a ogni dipendente di segnalare esigenze personali in modo sicuro, alimentando un clima di rispetto e apertura.

Biogen Italia ha scelto la formazione come leva per promuovere benessere e inclusione, creando una Wellbeing Academy che propone appuntamenti mensili sui temi della salute mentale, dell’equilibrio vita-lavoro, della diversità e della leadership empatica. La partecipazione diffusa e la varietà dei contenuti hanno permesso di rafforzare la cultura interna, contribuendo a una significativa crescita dell’engagement.

American Express & Hilton hanno puntato sulla trasparenza organizzativa, pubblicando report dettagliati sui progressi in tema di DEI e benessere. Utilizzano canali digitali per raccogliere feedback in tempo reale (es. app, forum anonimi, community interne) e lavorano costantemente per colmare il gap tra le aspettative dei collaboratori e le azioni della leadership. Questo approccio ha generato un aumento della soddisfazione interna e rafforzato la reputazione.

Sorgenia si è distinta per le sue politiche di gender equity e per una cultura aziendale che promuove la fiducia e l’autonomia. Oltre il 50% del management è femminile e le politiche di lavoro flessibile sono supportate da strumenti di welfare personalizzati. Il risultato è un ambiente di lavoro dinamico, attrattivo soprattutto per le nuove generazioni.

Tutte queste realtà, pur nella loro diversità, convergono su un punto: il benessere organizzativo nasce da un modello intenzionale, misurabile e guidato dalla leadership. Non è il frutto di iniziative isolate, ma il risultato di una strategia coerente, dove ascolto, formazione, inclusione e trasparenza diventano architravi di un ecosistema capace di generare valore umano e sostenibile. Per i manager e gli executive, guardare a queste best practice significa ispirarsi a modelli concreti, replicabili e adattabili. E soprattutto, significa comprendere che investire nel benessere oggi è la chiave per costruire un futuro solido e sostenibile per l’organizzazione.

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