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Published 1 Marzo 2024 - in Knowledge Center

Come evitare il minority stress in azienda

Garantire l’inclusione ed evitare il minority stress

 Per anni, parlare di salute mentale sul posto di lavoro è stato un tabù: i lavoratori soffrivano in silenzio e, quando le cose diventavano troppo difficili, si dimettevano. Ora l’attenzione al tema è più elevata, e le cause che conducono all’insorgere di problemi legati alla salute mentale sono state maggiormente indagate. Ad esempio, sono diversi gli studi che dimostrano come, alla base del disturbo, ci possa essere lo stress di appartenere ad una “minoranza”.

Lo stress da minoranza, il cosiddetto minority stress, è lo stress aggiuntivo che alcune persone devono affrontare quotidianamente a causa del pregiudizio, della discriminazione e/o del razzismo di cui sono vittime.

Secondo il rapporto OCSE Society at glance, il 2,7% della popolazione di un Paese è composta da persone LGBTQ+. Tuttavia, la scarsa conoscenza del tema si traduce in comportamenti discriminatori che minano la salute mentale individuale e che possono causare disagio psicologico e sintomi psicofisici.

Sebbene le discriminazioni possano riguardare anche l’età e le origini (oltre ad altri aspetti) quando si parla di minority stress si fa riferimento in particolare alle persone appartenenti alla comunità LGBTQ+. Sono due gli studiosi che hanno trattato il tema in modo più approfondito: Virginia Brooks e Ilan H. Meyer. Quest’ultimo, in particolare, ha teorizzato un modello secondo cui le persone LGBTQ+ sono sottoposte a livelli di stress maggiori, poiché storicamente discriminate. Da un lato, ci sono i pregiudizi e le discriminazioni presenti nella società, lavorativa e non; dall’altro, c’è il vissuto personale. A concorrere allo stress possono quindi essere le eventuali violenze subite, l’omofobia interiorizzata, l’occultamento del proprio orientamento sessuale e lo stigma percepito.

Il 91% dei lavoratori dichiara di aver subito atti discriminatori

 Le offese e i maltrattamenti di cui i lavoratori LGBTQ+ sono spesso vittime, e come loro gli appartenenti ad altre minoranze, possono condurre a uno stato di stress cronico molto alto.

Secondo un recente sondaggio di Monster, il 91% dei lavoratori dichiara di aver subito discriminazioni sul posto di lavoro, mentre il 77% afferma di aver assistito ad almeno un atto discriminatorio. Acquisire consapevolezza dell’impatto che queste offese hanno sulla salute mentale di una persona è necessario, tanto per le aziende quanto per i dipendenti.

Nel rapporto Mental Health at Work del 20213, sottoscritto dalla ONG statunitense Mind Share Partners, si evince che i lavoratori provenienti da gruppi storicamente sottorappresentati sono quelli che lottano maggiormente con problemi di salute mentale. Lo studio Women in the Workplace 2022 di McKinsey, invece, dimostra come le donne latine e asiatiche abbiano maggiori probabilità di ricevere dai colleghi commenti sulla loro cultura o nazionalità. Non solo: le donne LGBTQ+ e le donne con disabilità hanno riferito di aver sperimentato microaggressioni umilianti, a cominciare dai commenti sul loro aspetto.

Aggressioni di questo tipo, insieme ai pregiudizi inconsci, possono influire sulla salute mentale e sul benessere dei dipendenti, inficiandone la produttività. Quando le persone si sentono escluse o insicure, infatti, possono diventare ansiose o sentirsi depresse. Ecco perché le politiche e i programmi di salute mentale sul posto di lavoro dovrebbero sempre tenere conto della diversità e dell’inclusione.

Come evitare il minority stress sul lavoro

Per ridurre i livelli di stress e per migliorare la salute mentale di tutti i dipendenti, è necessario intervenire sulla diversità. Quando le aziende investono nel Diversity Management e attribuiscono valore a una forza lavoro diversificata, creano un ambiente psicologicamente sicuro e sano. Secondo l’Inclusion@Work Index 2023 del Diversity Council Australia, infatti, il 59% dei lavoratori che fanno parte di team inclusivi pensano che il lavoro migliori la loro salute mentale (contro il 9% di chi lavora in team non inclusivi). Ecco perché è importante conoscere e introdurre programmi completi di Allyship in azienda.

Inoltre, la comunicazione (utilizzando un linguaggio inclusivo, ovviamente) e l’istruzione sono fondamentali quando si tratta di alleviare il minority stress. I manager possono stimolare la conversazione su questi temi e mantenerla viva, chiedendo feedback regolari tramite sondaggi e ospitando sessioni interattive per dipendenti di tutti i livelli.

Anche i team leader e i dirigenti aziendali svolgono un ruolo importante. Per garantire che i dipendenti si sentano a proprio agio nel parlare di eventuali problemi di salute mentale, dovrebbero essere aperti e preparati e incoraggiare le persone a prendersi giornate off quando ne hanno bisogno. I lavoratori che vivono momenti di difficoltà dovrebbero dunque essere liberi di confrontarsi con i superiori e avere con loro un dialogo proattivo: solo così, tutti insieme, si può concorrere alla creazione di un ambiente di lavoro sereno, sicuro e inclusivo.

Per ridurre il rischio d’insorgenza del minority stress, è dunque fondamentale lavorare sul senso di appartenenza dei dipendenti. Alcune efficaci soluzioni, in tal senso, sono:

  • l’implementazione di policy anti-discriminazione nel codice etico aziendale, e l’istituzione di un dipartimento dedicato a raccogliere le segnalazioni e a monitorare sul rispetto delle regole;
  • l’istituzione di un diversity training per le risorse umane;
  • l’organizzazione di eventi aziendali, con la collaborazione di esperti in tema Diversity & Inclusion;
  • la promozione di uno stile di leadership collaborativa;
  • la partecipazione e il supporto ad eventi Pride.

Promuovere l’inclusione guardando alle aziende virtuose

Per migliorare i livelli di inclusione in azienda, è possibile guardare e lasciarsi ispirare dalle aziende virtuose.

Great Place to Work Italia ha stilato la classifica “Best Workplaces for Diversity, Equity & Inclusion”: le 20 aziende citate si distinguono tutte per le loro politiche DE&I, a cominciare dall’organizzazione che guida la classifica, la milanese Bending Spoons. Al secondo posto troviamo American Express, al terzo la padovana Storeis6 .

Come ha evidenziato Alessandro Zollo, l’amministratore delegato di Great Place to Work Italia, l’inclusione in azienda favorisce l’innovazione: lo dimostrano i 17 punti percentuali di differenza, in termini di creatività e innovazione, tra le aziende inserite nella classifica Best Workplaces e le imprese non presenti .

In particolare, le differenze riguardano l’equità nella retribuzione, l’opportunità di ottenere riconoscimenti speciali, i benefit riconosciuti, la meritocrazia nelle promozioni e l’equilibrio tra vita professionale e vita privata.